lunedì 4 gennaio 2010

Bambole & Fabbriche

Carissimi
lunedì scorso ho fatto l'ultima terapia. Ed è stata dura, molto dura... per questo ho tenuto il telefono staccato per giorni. Ero a terra sia fisicamente che psicologicamente. Suppongo che mi sia stato presentato il conto di due anni di lotta e tensione, oltre che di veleni, seppure benefici. Ora, dopo che mi avranno tolto il port, entrerò nella routine dei controlli semestrali. Ma non riesco a sentire il sollievo che avrei immaginato... mi sento "sbandata". I tempi sembrano lunghi, ma invece accade tutto così in fretta... avevo dato le dimissioni da un lavoro che non capivo più per potermi riappropriare della mia vita, che senza dubbio andava sistemata in dimensione più umana perché troppe erano diventati i motivi di frustrazione. Passarono solo tre mesi, durante i quali, seppure con smarrimento e fatica, riuscii ad assestarmi e a trovare un obiettivo: scrivere un libro sul culto della Dea Madre a Malta. Raccolta un'enorme mole di materiale scritto e fotografico, nonché le idee, stavo per "intigere il pennino", quando la mia vita è stata costretta ad una nuova drammatica svolta, quella del cancro. Anche in questo caso, ho dovuto trovare un nuovo assetto e, fra alti e bassi, ci sono riuscita, anche se è stato come tornare ad un lavoro che mi succhiava tempo ed energie, senza poter contare se non sulle mie forze. La notizia della guarigione (24 ottobre) è stata scioccante quasi come quella dell'annuncio della malattia e facevo fatica a comunicarlo senza mettermi a piangere. Ma poi è continuata la routine delle terapie e l'emozione si è smorzata, come se tutto fosse stato dilazionato, prima del prossimo salto.
Ora, invece, ci siamo. Mi ritrovo come quel 17 ottobre, quando furono rese effettive le mie dimissioni dal lavoro, o come il 3 febbraio quando mi "svegliai" una mattina con il cancro: cioè con una vita da riprogrammare, per la terza volta in meno di tre anni. E non metto nel conto le "vite passate". Ma ora non ho più 20 o 30 anni: anche da piccole cose, mi sono resa conto di non avere più l'elasticità, o meglio la pronta adattabilità, di cui mi vantavo un tempo. Mi sento in bilico fra l'adagiarmi in una routine o seguire la mia natura irrequieta. Per un verso mi concedo l'alibi che devo riacquistare le forze, dall'altro mi sembra - come quando facevo la chemio - di aver perso il sapore per ogni cosa, di avere la bocca impastata di parole che non vanno né su né giù e una lingua di cartone resa arida da paure e incertezze. Quel buon vivere alla giornata che avevo faticosamente conquistato, ora sembra liquefarsi sotto l'afa di tutte le preoccupazioni che avevo accantonato.
Mi guardo il corpo dentro e fuori e non mi riconosco. Durante la malattia aveva subito mutamenti così drastici da suscitare la mia curiosità... così come la mia testa balzana. Ma ora, non provo più lo stesso senso dell'umorismo nei confronti di me stessa, sento più forte quello del ridicolo. Dentro di me sento lo stridore di una fabbrica in cui si lavora il ferro, con ogni suono che copre l'altro. E' una frammentazione di propositi, di input, di voci... Oppure c'è un silenzio e un bisogno di silenzio assoluti. Una bambina ormai grande che torna in soffitta, apre il baule in cui sono conservate le bambole e scava, scava, cercando di capire quale fosse la preferita, se c'è ancora, se l'ha immaginata, se è andata persa... e si sente disorientata perché non capisce più se la preferita di allora continua ad avere lo stesso fascino di oggi. Se avrebbe ancora voglia di cullarla, di coccolarla, di sentirsi fiera per averla. Chiudere la porta nel silenzio della soffitta, significa aprire la porta della fabbrica che stride?
Ieri notte, l'ultima dell'anno, volutamente passata in solitudine, ho tentato di fare qualche proposito "propositivo", poi ho rinunciato, salvo uno: NESSUN PROPOSITO! tanto so che li trasgredirei alla velocità della luce.
Un abbraccio a voi tutti e un grazie al 2010, 2010, 2010... devo esercitarmi a scriverlo... non ero sicura di poterlo fare due anni fa.
Adriana

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