domenica 20 settembre 2009

Angeli del Purgatorio & Levità

Carissimi
è la terza notte che non trovo pace. Che cazzo di terapia: o sono io tanto tanto stufa, o c'è un effetto "accumulo" che mi rende i neuroni a brandelli. Ma non voglio ricorrere a sedativi, nonostante l'oncologo me l'abbia chiesto. Mi sento già abbastanza intontita così... Anzi, rincitrullita. E daccapo tornano a rodermi dubbi: unghie diventate fragili e capelli che cadono, fitte articolari, scoordinamento, memoria che fa acqua come un colapasta, stanchezza e sbalzi di umore, indecisone anche suelle cose più semplici, stati d'ansia con sudorazione di fronte ad ogni minima difficoltà... E' qualcosa di transitorio, o un processo di decadimento irreversibile di un "normale" invecchiamento? Ho provato a parlane con l'oncologo, che però continua a mantenere un atteggiamento distaccato, quasi fosse uno psicanalista. So che - in fondo in fondo - gli piaccio come tipo di paziente, perché da ermetico che era, ora qualche parola in più con me la scambia, tipo concordando con me che l'influenza suina è una gran montatura, dove l'indotto ci va a nozze! Ma quando andiamo sul personale... si limita ad annuire, lasciando a me le riposte o i dubbi.
Dopo tutti questi mesi ho elaborato una mia teoria sulla percettibile freddezza del reparto oncologico che frequento:
1) La ressa permette a malapena di tener dietro ad un minimo di organizzazione, che si è tradotta in una "catena di montaggio", anzi di "rottamazione", visto il tipo di pazienti.
2) Ogni operatore sanitario, dai medici ai subalterni, si adeguano a chi dà di meno, non di più e quindi si coprono l'un l'altro.
3) Il primario è diventato un "mulo da soma" che lavora 12 ore al giorno nel tentativo di salvare vite e nient'altro lo sfiora. E' come la madre che partorisce figli in continuazione e lascia ai maggiori l'accudimento dei minori in una catena crudele, quanto altruista ... nel senso di perpetuare la vita ad ogni costo.

Sì, ora ho realizzato cosa respiro in quel reparto di oncologia. Aria da pompe funebri. Sono tutti cortesi, ma distaccati, come chi con la morte ha acquisito una tale familiarità da considerarla "altra" da sé. Entrare in sintonia con il dolore del/dei congiunti in lutto sarebbe davvero logorante per chi fa della morte il proprio mestiere e la vita un miracolo.
E' anche vero che l'impresario di pompe funebri ti vede per qualche giorno e poi mai più. Ed è vero che invece questi del reparto oncologico ti vedono per mesi, anzi, in genere per anni. Si abituano alla tua vita condizionata e dipendente, alla scintilla di speranza che cerca un modo di vivere o di morire meglio. L'unica difesa per se stessi resta a tale realtà, nel ritrarsi nella normalità, ovvero nell'implacabilità dei numeri fra chi "guarisce" e chi muore... E l'età, sì, diventa molto importante l'età, nello strappare una scheggia di considerazione. E' anche per questo che io mi presento sempre al "massimo"... vestita in modo improbabile per la mia età anagrafica, ma consona al mio look. Sono "destabilizzante" e ciò mi piace in un clima in cui "affezionarsi a qualcuno" può significare dolore per la perdita. Dove un "énclave" di asetticità ha sostituito ... la persona.
Un reparto oncologico, ora questo l'ho capito, è come morire prima di essere morto. Hai davanti l'Inferno, il Paradiso e il Purgatorio. Ma, nella letteratura, queste soglie sono ben gestite da accorti guardiani. Invece nel reparto oncologico è tutto un casino. Vengono meno tutte le certezze. Alzi gli occhi sui guardiani di queste porte per avere un cenno su quale sarà il tuo destino, ma vedi solo Purgatorio. Loro sono Angeli del Purgatorio, che si aggirano "fra color che stan sospesi".
Mi ribello a questo "status" di coercitiva acquiescienza - sia da parte degli operatori che dei pazienti - ogni volta di più, anche se con maggiore "levità". No, "leggerezza" non sarebbe il termine appropriato. "Levità" , essere lievi, non leggeri. Lo scopo? Nessuno, nessun vantaggio. Se non strappare una risata.

Martedì scorso, ero veramente stufa o suonata! Non mi sono ricordata che per farmi inserire l'ago delle flebo nel port, devo avere una scollatura adeguata. Non sconvolgetevi, è una cosa da niente, ma deve essere fatta fuori dalla sala chemio, perché necessita di cose che stanno più praticamente nel "carrello" infermiere, in "sgabuzzino" infermiere per la precisione. L'infermiera era imbarazzata dal fatto che io dovessi svestire il mio "busto" (oppure torace?), insomma che io dovessi esporre (a chi?) quello che ho sopra la vita, quando qualcuno (solo infermiere) potevano affacciarsi alla porta... Io le ho detto che non mi creava problema, lei ha insistito perché tenessi la camicia davanti...
LEI: "Sa, se qualcuno entrasse..."
IO: "Siamo fra donne"
LEI: "Se la alzi almeno fino ai seni, il port è sopra..."
IO: "Ok, arrotolo la camicia..."
LEI: "Non si può fare un fagotto così...."
IO: "Mi è rimasta una sola tetta e non intendo nasconderla. Non ha senso..."

Mi tolgo la camicia senza bottoni (è indiana), copro per la tranquillità dell'infermiera la tetta che mi avanza, mentre lei mi inserisce l'ago nel port...

Tze, tze... porta spalancata. La visuale è su quello a cui stando togliendo quattro litri d'acqua prodotti dal fegato... Capirai quanto mi interessa se qualcuno vede la mia tetta. L'altra parte senza tetta vale o no una copertura? E' ancora una parte erotica o diventa comunque una parte da nascondere?

GRRRRRRRRRRRR...
L'insensato pudore che travalica la morte. Ecco perché dicevo che questo reparto oncologico sembra un'agenzia di pompe funebri, con tutto l'adeguamento di sentimenti che ciò impone.

Volta pagina: stasera arriva Marie Thérese. E' la mia amica maltese. No, è una mia grande amica. E' una persona che conoscerla è un Dono.

Lascio il pc a casa, quindi ci sentiremo quando sarà possibile... prevedo scorribande ;-) se riesco a riprendermi. Ma tanto so che succederà ;-)))))))))))))

Abbraccione

Adriana

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