mercoledì 28 gennaio 2009

NO, cinica no

Ormai è quasi l'alba, ma dopo la mail che vi ho scritto (quella subito prima di questa), non riesco ad andare a dormire. Ho ripensamenti. Mi chiedo se non sono troppo crudele n el descrivere quanto di caricaturale esiste nella gente. Mi chiedo se non sia frutto di ore di promiscuità forzata in luoghi dove ognuno maschera come può le proprie angoscie.
Ora ripenso, in sala attesa, a quel marito-paziente che si è allontanato quando i discorsi sulla durata della malattia si sono fatti pesanti, e lui era lì solo per un controllo, ma quando è tornato la moglie l'ha accolto dicendo: "Sei di nuovo stato al gabinetto?". O ad un altro marito che accompagnava la moglie-paziente, ma il quale dopo soli 5 minuti le ha chiesto se scendeva con lui al bar a prendere qualcosa. "Ma se ho ancora capuccio e cornetto sullo stomaco" gli ha risposto, senza capire che lui voleva solo allontanarsi da quella stanza opprimente.
Ripenso anche a quella giovane donna (una rarità) in sala chemio, assistita da un padre dignitoso, ma con gli occhi dolenti. E lei che si è inserita in un breve lasso di tempo in tutto quel becerare sanguinolento per dire: "Non mi è sembrato vero quando mi hanno lasciato per un mese intero senza terapie. Sono uscita di casa, ho rivisto gli amici, ho perfino fatto un piccolo viaggio. Mi era sembrato di tornare a vivere".
No, non voglio diventare cinica. Ma voi pensate quanto può darvi fastidio una persona che, quando occasionalmente la sentite, non fa che parlarvi delle sue magagne, magari per mezz'ora. Moltiplicate queste persone per 60 e per 5 o 6 ore. E ascoltate i loro orrori che possono diventare i vostri e che vi ingroppano la gola di domande. Ma poi, quando entrate da chi vi potrebbe dare o vi aspettereste risposte, vi sentite al massimo chiedere: "Come si sente?", senza nessun incoraggiamento ad avere una risposta che non vada oltre: "Abbastanza bene, grazie". Con tutte le domande che si prosciugano in una sola, perché sapete già la risposta. "Come sta andando il mio cancro?". "Non si può dire, per nessuno è uguale". Ovvero dovrai essere tu, sei hai la lucidità per farlo abbastanza a lungo, a capire quanto e come ti resta da vivere.
Non voglio essere cinica, ma poi la mediocrità di ciò che sta intorno nel pronto-soccorso alla "vita" la trovo ogni volta all'uscita dell'ospedale. Fronte strada ci sono, piccoli e squallidi come armadi polverosi: un negozio di articoli sanitari, uno di pigiami, un esercizio di pompe funebri e una fioreria. Al cancello di un'abitazione privata ci sono da mesi due fiocchi rosa tutti anneriti dallo smog: in uno c'è scritto Beatrice, nell'altro Madalena (con una sola d). Le gemelle ormai saranno come minimo all'asilo... Ma il fronte strada continua a sbatterti davanti agli occhi questa istantanea immutabile, mescolando nascita, morte, accessori intercambiabili sia all'una che all'altra come fiori, pannolini, stampelle o casse da morto. E la vita ti sembra chiusa in minuscoli capitoli rarefatti nel tempo. Allora guardo l'aiuola già ben potata e pronta per le prime gemme. Non sarà mai uguale a se stessa.
Nuovamente un abbracio, mentre già sento gli uccelli cantare al primo schiarire della notte.
Adriana

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