venerdì 9 gennaio 2009

Volo in classe turistica

Carissimi
questa volta me la sono presa comoda prima di "risorgere", ma ho avuto bisogno di tempi di recupero più lunghi del solito, perché l'inizio della nuova terapia è andato a sommarsi alla fatica che mi trascinavo dalle feste.
Non voglio spendere troppe parole sulle mie condizioni di salute, perché le sedute con Herceptyn si susseguiranno ogni tre settimane per tutto il 2009, quindi tant'è che ci faccia da subito l'abitudine. Tutto sommato è andata abbastanza bene, anche se in ospedale ho dovuto starci sette ore, di cui quattro con la flebo. E' stata comunque l'occasione per togliermi qualche sassolino dalle scarpe.

"FARE IL MEDICO E' UN MESTIERE DIFFICILE"

"Dottore, non so se si ricorda di me. Ci eravamo sentiti per telefono per un'altra questione, ma nell'occasione le avevo fatto presente che la mia vagina non funzionava più..."
"Sì, sì... mi ricordo. Le avevo suggerito un farmaco..."
"La mia ginecologa mi ha risposto che è del tutto obsoleto e che comunque mai e poi mai mi somministrerebbe estrogeni, visto che prendo il farmaco contrastante. Quindi sto mettendo una crema tra le cui indicazioni c'è appunto l'uso nel corso di chemioterapia... Perché non mi avete informata su questo effetto secondario della chemio e su come fare prevenzione? L'unico avvertimento che ho avuto è stato in merito ai capelli, ma quelli ricrescono. Pelle, denti, occhi, ossa, cuore, fegato, intestino, stomaco... Io sono fatta anche di tutte queste cose e sono stata io ad organizzare le difese di questi organi che possono essere particolarmente colpiti durante la chemio. Ho potuto farlo solo grazie a Internet, perché voi invece non mi avete dato alcun tipo di informazionemediante informazioni trovate su Internet".
"Fare il medico è un mestiere difficile... Non si sa mai chi vuol sapere e chi no. In genere chi viene qui si mette nelle nostre mani, non gli interessa sapere di effetti secondari. Anzi, siccome non sono certi, forse è meglio non parlarne, onde non allarmare il paziente... E' un po' come il bugiardino dei farmaci..."

NOTA per gli amici maltesi: "bugiardino" viene detto da noi il foglietto che accompagna qualunque farmaco e che - esclusivamente per cautela penale da parte delle case farmaceutiche - contiene tutti gli avverimenti di controindicazioni possibili, fino alla morte.

"Dottore, qui non stiamo parlando di bugiardini, ma di prevenzione. Io capisco che questo reparto è oberato di pazienti, vista la fama del suo primario, e voglio credere nella vostra buona fede, ma ciò non toglie che siamo a oncologia, dove i conti con la morte sono più che concreti e quindi dove la qualità di vita - breve o più lunga che sia - diventa estremamente preziosa. Io le voglio anche credere quando dice che la maggior parte dei pazienti preferisce mettersi ciecamente nelle vostre mani, ma mi permetto di farle notare che questo vi ha portato ad una standardizzazione, verso il basso, del paziente. Ormai dipendo da questo reparto da quasi un anno e posso dire di aver avuto ripetute prove di essere sì un paziente, mai una persona".
"Be', ma per questo ci sono psicologi, associazioni..."
"Sono altri campi e personalmente non ne sento alcun bisogno. Io sto parlando di informazione e di prevenzione a livello medico per pazienti oncologici. Il fatto che lei mi risponda demandandomi ad altre... chiamiamole strutture... dimostra che non ha inquadrato il problema. io sono venuta in questo ospedale perché mi era stato assicurato che il primario è uno dei migliori, ma l'ho visto due volte per pochi minuti nel marzo scorso, poi mai più. Quando ho chiesto, mi è stato risposto: non si preoccupi, vede tutte le cartelle cliniche. Non so se è vero, ma mi sembra che voi tre assistenti godiate di un'ampiezza di delega superiore a quanto mi aspettassi. E anche questo, se comunque decido di fidarmi, potrebbe andar bene, se non fosse che lei, dottore, è solo la terza volta consecutiva che la vedo e solo su mia esplicita richiesta, altrimenti sono stata rimpallata di volta in volta a seconda delle file di pazienti. Nel corso di queste visite... una dozzina mi pare... ho sempre avuto l'impressione di essere una faccia nuova, senza una storia che non fosse quella da leggere e da copiare nella cartella clinica, faccenda da sbrigare in pochi minuti, con una visita che occupava anche meno. Una sola volta - ovvio che me la ricordo - mi sono sentita chiedere: Come sta? Benissimo, ho risposto provocatoriamente e la sua collega non ha neppure alzato gli occhi dai fogli che stava compilando".
"Capisco le sue ragioni, ma come le ho detto fare il medico è un mestiere difficile..."
"Senza dubbio, però non tenere il contatto con il paziente può renderlo ancora più difficile. Sto parlando del profilo diagnostico e terapeutico, ovviamente. Facciamo l'esempio di una banale tachicardia indotta da terapia farmacologica: se non so che può essere "secondaria" alla terapia magari mi spavento e la tachicardia diventa doppia. Mi spavento anche di più. E diventa tripla. Ma sono un paziente fiducioso e finalmente ne parlo con lei. Ma a questo punto, dottore, lei per fare una diagnosi dovrà capire 1) se è la terapia; 2) se è un caso di ansia; 3) se c'è un problema cardiaco... con conseguenti analisi e ulteriore stress per il paziente".
"Sì, capisco..."
"Torniamo alla mia vagina. Lei sapeva che la chemio agisce negativamente sulle mucose di qualunque tipo..."
"Sì, ma non è detto..."
"Non sarà detto, ma io volevo sentirmelo dire... Così come avrei voluto sapere che il farmaco che blocca gli estrogeni avrebbe aggravato,
fra le altre sorprese spiacevoli, anche questa della vagina. Capelli sì, vagina no. Mi scusi, ma lo considero un bigottismo... "
"Sì, forse è così... ma i pazienti in genere..."
"Dottore, io credo che un paziente con il cancro debba essere incoraggiato a prendere gusto alla vita nei giorni in cui sta bene e a tollerare quelli in cui sta male. Sicuramente le associazioni possono essere di aiuto in questo, ma è l'informazione medica qui - nel reparto di oncologia - ad essere basilare. Vuole sapere una cosa curiosa? Ho letto che per il mio caso, assimilabile a quelli di vaginismo, trova benificio con i dilatatori. Ne ho parlato con la ginecologa che mi ha risposto di cercare in Internet. Ho scoperto che questo aggeggio, a tutti gli effetti un presidio medico-chirurgico, in Italia non esiste. In Internet arrivano a suggerire verdure varie col preservativo! Devo andare ad alimentare l'anedottica dei Pronto Soccorso?".
"Però torniamo al discorso di prima, la maggioranza dei pazienti si affida completamente a noi, non ci chiede o non vuole tante delucidazioni..."
"Sì, ma questo non vi giustifica a prendere il mestiere come routine..."
"In che senso?"
"Standardizzare i pazienti, appunto. Ad esempio, lei e le sue due colleghe avete mai notato che, a differenza di molti altri, io sono sempre entrata da sola per le visite? Vi siete mai chiesti se ero accompagnata? E, vedendomi sola, vi siete mai domandati se magari poteva venirmi un attacco di tachicardia in piena notte, o di vomito, o uno svenimento e chi poteva soccorrermi o solo rassicurarmi? Date tutto per scontato? Sulla mia cartella clinica c'è scritto che abito a Padova... Nessuno di voi mi ha chiesto con che mezzo arrivo all'ospedale... Se guido io, ad esempio. E se è consigliabile che lo faccia, oppure no. Io credo che la routine e l'urgenza vi abbiano appiattito e che in questo modo vi sentiate leggittimati ad appiattire anche i pazienti, che diventiamo dati e cartelle cliniche".

CONSIDERAZIONI

1) Questa volta la "visita" è durata un'ora, ma vi assicuro che il colloquio è stato nei termini che vi ho detto e con toni del tutto pacati.
2) La caposala è entrata per ben due volte con due pretesti chiaramente indirizzati ad abbreviare la visita, ma il dottore ha respinto gli assalti. Né mi sentivo in colpa verso la coda, visto che aspettavo da quasi un anno per motivare concretamente le mie ragioni.
3) Per la prima volta in tutti questi mesi, l'oncologo è venuto da me mentre facevo la terapia (poco dopo l'inizio e verso la fine), chiedendomi come mi sentivo... con grande stupore delle infermiere e degli altri pazienti. Ciò non mi rallegra, mi rattrista. Avere voce assume un significato solo se incide ANCHE nei diritti di chi non li sa rivendicare, non se porta a percorsi preferenziali o peggio privilegiati.
Posizione idealistica la mia, vero? Però mi fa vivere meglio con me stessa, se non altro per coerenza.
Ammetto che sono entrata in sala chemio già con i piedi sensibilizzati dai sassolini, tolti e da togliere. Così mi è venuto facile il seguito.

VOLO IN CLASSE TURISTICA

Ci sono tre pazienti davanti a me che aspettano di entrare nelle postazioni chemio. Stiamo in piedi, guardando dall'una o dall'altra porta, pronti a prendere la postazione, fra gli slalom delle infermiere nello stretto corridoio. Mica puoi farti fregare il posto restando nella sala di aspetto, nooooo? Qui siamo tutti vigili sul nostro turno, bisogna tenere la postazione, perché non sai mai chi te la può fregare. In un ospedale di paese basta conoscere la cugina del fruttivendolo da cui ti servi perché l'infermiera si illumini alla tua vista. Altrimenti ti dice solo: "SiediTI qua".
Assicurarsi un buon posto è ovviamente un frutto del caso: sala con tv invisibile, inascoltabile e anarchica, oppure un'altra senza questo strumento inutile e rumoroso; poltrone scassa-schiena con poggia piedi, oppure due - dico due - lettini su una trentina di accomodamenti; due poltroncine salotto anni sessanta (stile svedese) senza poggia piedi. A me è toccata una di queste e siccome sapevo che l'avrei avuta lunga ero già maldisposta. Ho detto all'infermiera: "E' come in aereo quando si va in classe turistica per un viaggio di ore...". Ma come si fa qui a seguire i consigli di fare due passi (dura con la flebo), bere molta acqua (già la flebo dà problemi con la pipì) e prendere un'aspirina (basta il resto, grazie). "Che problema hai?" mi chiede l'infermiera. "Mi serve un cuscino perché lo schienale è troppo lontano e non poter appoggiare i piedi su un sostegno per tante ore me li farà gonfiare ". "Io ti posso portare il cuscino per la schiena..." ha replicato con tono suscettibile. "Infermiera, non me la prendo con lei, ma con l'ospedale. Due poltrone che sostituiscano almeno queste non mi sembra una gran spesa..." Gli altri pazienti mi guardavano incuriositi, infine sono un diversivo no?
Miracolo! Ho appena iniziato il flacone di avvio, quando si libera il posto accanto a me. Dribblo uno che si precipita dalla porta d'ingresso, portandomi appresso il trespolo della fleboe, e occupo la poltrona con poggia-piedi. Arriva l'infermiera-flebista: guarda il maschietto sul posto che occupavo prima, sposta lo sguardo su di me. E si inferocisce. "Hai cambiato posto senza dirmelo, ma ti rendi conto? Potevo metterti un farmaco al posto di un altro, perché il tuo cestino era posato sull'altro comodino...". "Non sapevo che ci fosse un numero....". "Infatti non c'è, se tu cambi posto, come faccio a sapere che i farmaci nel cestino sono i tuoi e non di un altro? E' successo proprio l'altro giorno sai?". E' pazzia, ma c'è nel metodo. "Mi dispiace. - rispondo - Ma non avevo pensato a questo inconveniente". "Guarda che queste non sono mica caramelle...". Mi è montata un'ira fonda, fredda. "E lei, infermiera, sta parlando con una donna di quasi sessant'anni, non con una bambina. Quindi se deve darmi delle informazioni lo faccia con rispetto, senza bacchettate sulle dita!". Ha fatto la bocca a "buco di culo di gallina", come dico io, e se l'è messa via. Ma ecco che subito insorge un anzianotto all'altro capo della sala e rivolgendosi a me: "Guardi che noi pazienti dobbiamo essere pazienti". "Noi prima di essere pazienti, siamo persone e dobbiamo esigere rispetto". "Il rispetto va a chi lavora per noi". "E' un rapporto di collaborazione, non di sudditanza". "Lei è una maleducata". "E lei non merita neppure che io prosegua con uno scambio di opinioni".
Passano cinque minuti, torna la stessa infermiera per mettere la flebo a quello che era al mio posto precedente. "Come ti chiami?". "Rossi". "No, il nome di battesimo". "Mario". "Ah, ecco, Mario. Io mi regolo con il nome di battesimo, perché con i cognomi si fa confusione". Chiaro che questa viene da Chioggia, dove tutti si chiamano Boscolo, tanto che anche sull'elenco di telefono ci sono i soprannomi. Ma mica sarà un criterio anche per assegnare i flacomi di chemio... Infatti ammette: "Certo che anche i cognomi a volte si ripetono". GRRRRRRR, bambina, ma usare nome e cognome per un' identificazione prima di infilare un veleno in vena è troppo?
A chiusura del cerchio: il "paziente-paziente" e "non persona" si identifica non solo per la reazione dello stronzo che ha difeso l'infermiera maleducata, ma anche in tutti quelli - praticamente tutti in sala chemio - che chiamano l'infermiera o confidenzialmente per nome (è la cugina del verduriere sotto casa), o signora e signorina. Ma che male c'è a chiamarle infermiere? E' forse disonorevole? Passiamo all'altra mia vicina di poltrona che chiama dottore il volontario solo perché ha il camice bianco? Anche questa vicina era su una poltrona senza poggia-piedi e dopo un po' le facevano male le gambe. La nipote che l'assisteva, seduta su uno sgabellino, ha messo i piedi della zia sulle proprie gambe... volo in classe turistica, no?
Un abbraccio
Adriana

Nessun commento: