mercoledì 6 agosto 2008

Arcobaleni, bambini e coccole - 6 agosto 2008

Carissimi
eccomi con un'aggiornamento.
Ieri chemio, stamattina centratura per la radio, oggi pomeriggio sono nuovamente a Lignano. Mi ci ha portato Stefano, detto "baby" che ora è qui con me. Mi sento piuttosto in forma, se non fosse che non dormo da... oltre 24 ore. Ma è chemio o coca quello che mi hanno buttato in vena? Ma per stanotte ho un Tavor che mi ha "spacciato" una vicina.

CHEMIO

E' cambiata non solo la composizione, ma anche il modo di somministrazione. E non so quale sia stato a fregarmi, anche se un'idea me la sono fatta. Oltre al solito flacone di chemio che viene giù goccia a goccia, segue un lavaggio della vena, sempre goccia a goccia. Ieri l'hanno interrotto a metà e l'infermiera è arrivata con due poderose siringone - sempre chemio - una viola e una gialla. Questa infermiera è nuova e del tipo che non sorride neanche se le mostri il culo. Non è stata la mancanza di cortesia a preoccuparmi, ma il fatto che si sia rivolta ad una collega per chiedere se doveva fare prima la viola o la gialla, che, in aggiunta al flacone appena terminato color celeste, mi faceva già sentire un mezzo arcobaleno. Mi ha innestato nella valvola della flebo la siringona viola e l'ha sparata dentro di brutto, come si fa con una normale iniezione. Ha messo anche quella gialla e stava facendo la stessa cosa, quando io mi sono sentita svenire. Glielo ho detto e ha sospeso. Mi sono ripresa, e lei ha ripreso a darci dentro fin quasi alla fine. Col che io stavo nuovamente svenendo. "La pressione" le ho detto. Infatti me l'ha misurata ed era scesa a 110 (io ho 80-130). "Secondo me lei mi ha iniettato troppo in fretta troppo liquido" ho osservato io. "No, a volte la chemio fa così... comunque vado a chiamare l'oncologa". E' arrivata l'antipaticona, quella a cui l'indecisione fa pari solo con l'arroganza. Ve la ricordate? Ma stavolta direi che ci ha acchiappato, anche se con un dialogo volto a confondere la paziente per salvare l'imperizia dell'infermiera. ONCOLOGA: "Quale siringa ha fatto per prima?"
INFERMIERA: "Mmmm..."
IO: "La viola"
ONCOLOGA: "Nessun problema con la viola?"
INFERMIERA: "No"
ONCOLOGA: "E con la gialla?"
Comincio a scazzarmi.
IO: "La pressione mi è andata giù durante la gialla"
ONCOLOGA: "Che sintomi ha accusato? Confusione? Ha visto nero?"
IO: "La descrizione esatta è: mi sono sentita mancare"
ONCOLOGA: "A che punto della siringa?"
IO: "A metà"... tanto ormai l'infermiera sta facendo scena muta.
ONCOLOGA: "Quanto ne manca?"
IO: "Un terzo"
ONCOLOGA: "Sospendiamo qui... Ma la prossima volta va iniettata più lentamente"
INFERMIERA: "Quale delle due?"
IO: "Quella gialla, me ne ricorderò io"
Se ne vanno impettite.

Sento il mio vicino di poltrona (un bell'uomo) che sta ghignando. Gli dico: "La prossima volta mi faccio fare uno spriz direttamente in vena Quello sì che fa bene alla pressione". Lui: "Porto le olive". Il promettente approccio viene troncato dalla psicologa. Ve la ricordate? Quella che mi aveva trovato "interessante" durante già la prima seduta di chemio e che mi aveva rifilato il suo biglietto da visita. Poi avevo cambiato giorno di terapia e me ne ero liberata. Mi aveva visto con ricci indiavolati, ora ho una compassata parrucca corta. Non mi sembra che mi abbia riconosciuta, ma tenta ugualmente l'approccio, visto che ha seguito i miei semi-svenimenti e suppone di potermi dare conforto. "Che sta leggendo?" mi chiede. "Un pessimo libro di donne dedite allo shopping" e chiudo gli occhi. Sono riuscita a metterla in fuga.

RADIO

Stamattina ho visto la titolare (almeno credo) del reparto di Radioterapia, la dottoressa Lora. La settimana scorsa mi ero vista con la sua deliziosa assistente di cui vi ho parlato e devo dire che anche a Lora va tutta la mia stima. E' sui 40, cordiale, rilassante, sollecita. Ha chiarito i miei dubbi con precisione, senza essere schiva, ma neppure allarmante. In sintesi: il mio cancro è annidato in linfonodi profondi, non raggiungibili chirurgicamente; l'abbinamento chemio-radio sta mostrando dati di buon prolungamento della vita, ma i dati statististici sono condizionati dal tipo di chemio; dalla macchina-radio (in continua evoluzione); dalla reazione individuale al cancro. Il cancro al seno è ha validi antagonisti, ma in pratica non ti darà mai una certezza di averlo vinto per tutta la vita. Le recidive sono infinite e per un numero smisurato di anni, anche se si possono tenere a bada con gli odierni sistemi. Quindi è meglio se si impara a conviverci serenamente. E confidando nei progressi della medicina. Il mio è tosto, quindi più imprevidibile di altri rispetto alla prognosi.

Voltiamo pagina.

Stamattina sono stata per un'ora e mezzo nella sala d'aspetto della radioterapia.
Mi ha subito colpito un tavolinetto addossato ad un angolo. Quattro o cinque riviste decrepite, ma una trentina di libri. Decrepiti all'aspetto, ma pur sempre libri. Mi ci sono lanciata. La prima pila era una serie di manualetti, quelli che regalano con i quotidiani, dalla storia della filosofia, a quella dell'arte o della psicologia. Roba da sballo per uno che deve passare il tempo! Seconda serie, tascabili di spionaggio dai titoli avvilenti. Terza serie, volumetti più corposi, a formare romanzi di meriti sconosciuti su argomenti imprevedibili dalle missioni alla new age. Ammesso e non concesso che uno si prenda la briga di comnciare una qualunque di queste nefandezze, dovrà poi abbandonarla e portarsi durante la radioterapia la suspence appena accumulata? All'uscita potrà giungere all'orgasmatico finale o l'opera sarà in altrui mani?
La spiegazione mi arriva dopo una mezz'ora con l'entrata di una donna di mezza età (forse), grassoccia e passo stanco, viso ancora fresco incorniciato dall'inevitabile foulard che nasconde la pelata chemioterapica. Dalla borsa di plastica estrae alcuni libri illustrati di fiabe (molto ben tenuti), due bambolette, una serie di automobiline. Posa tutto con molta grazia sul tavolinetto, a disposizione. Arriva un bimbo di sei-sette anni. E' smunto, il berretto a visiera nasconde la solita pelata, occhi enormi senza il gentile contorno di ciglia e sopraciglia. Resta solo un attimo, poi va alla terapia, oltre quelle porte d'ingresso che si aprono con la cellula fotoelettrica e che lasciano passare una quantità inesauribile di persone stremate sdraiate sui lettini con la coda delle flebo. E' con queste zanne consunte che strappi brandelli di vita? Mi viene un dubbio: cura placebo io pensavo fosse quella
che danno a te una pastiglietta di zucchero, ad un altro il farmaco da sperimentare e poi vedono gli effetti diversi. Invece ho capito che ora per "cura placebo" si intende ancxhe quella che sai non porterà se non ad un prolungamento ragionevole di una vita comunque a termine. Dovrò rifletterci sopra e capirne un po' di più.
Ma torniamo alla sala d'attesa. Arriva un dodicenne, in carne e in forma. Qui sembrano conoscersi tutti, anche perchè la frequentazione è quotidiana, non come la chemio. La mamma del dodicenne comunica ad una paziente vicina che finalmente è l'ultimo giorno. Tornano a casa, in Liguria mi pare di capire. Io sono frastornata perché ho passato la notte insonne e tutti i suoni mi arrivano come se rimbalzassero sui muri. Sono rimasti a lungo in un appartamentino afoso nei pressi dell'ospedale (e so già i prezzi degli avvoltoi!). Ed ecco una bambina sui dieci anni: Laura, vivacissima anche se trascina i piedi quando si sposta fulminea per tutta la stanza abbrancando tutti i giocattoli del tavolino. Si riposa per pochi attimi solo sedendosi sulle ginocchia della giovane mamma palesemente esausta. E' una figlia della malattia, a cui si concede tutta l'intemperanza che vuole. Sono alloggiate in una pensione, costosa - dice la madre alla madre del dodicenne con cui ormai è confidente - ma con una camera senza ria condizionata ed esposta al sole. Non ha dormito per tutta la notte e la bimba ha mal di testa. "Almeno - aggiunge - mettessero in un angolo della sala comune una cassapanca per tenere qualche giocattolo. Io ho messo in valigia l'indispensabile - (vengono dal Sud) - Ieri ho comperato una bambolina, ma 30 euro! Laura poi distrugge tutto, nel giro di due giorni l'avrà decapitata". Tuttavia Laura oggi è felice: ha trovato un sacco di giocattoli nella sala aspetto. Le hanno detto che può portarseli via, basta che li riporti domani. Ho capito che lo stesso discorso vale per i libri. Ma quelli sono frutto di "carità pelosa".

COCCOLE TERAPIA

Stamattina, come al solito, è stato difficile sincronizzare gli orari ospedalieri, quindi ho detto al "baby" che avrei telefonato appena fossi stata "liberata". Siccome il tragitto richiedeva comunque un tempo, mi sono avviata a piedi. Durante la strada pensavo a questi bimbi, giustamente pieni di coccole. Ma io? Io sono single, senza amico-amante, senza parenti. Ho amici, questo sì, ma in genere non vai più in là dell'abbraccio e del bacio entrambi fuggevoli. Invece, se anche quando si sta bene si sente il bisogno del contattp fisico (non necessariamente sessuale), è quando si sta male che anche solo una mano tenuta in un'altra può dare consolazione. Anzi, è un'immagine tipica, no? Quei bambini si stringevano alle madri, cercavano il contatto di pelle. Noi adulti non dovremmo avere lo stesso bisogno? Ci vergogniamo ad ammetterlo?
Più camminavo e più ci pensavo. Onestamente la pet-terapy la scarto: mi hanno convinto i miei due gatti nevrotici e nevrotizzanti. Ma una coccole-terapia è già stata inventata? Cuddles-terapy (perché magari in Inglese c'è già e io non lo so). Io attualmente ho solo il fisioterapista che tocca la mia pelle, mi massaggia, è una cosa che gradisco, che mi fa stare meglio, ma è come andare a puttane. Invece sento che ho voglia - talvolta - di stare fra le braccia di qualcuno, di avere carezze, una stretta affettuosa, qualche bacetto fuggevole, una guancia contro la mia guancia, sulla spalla, sulla testa... le coccole, insomma. Quelle per i bambini, per gli animali, per i disabili... Perché non per i malati?
Onestamente non mi vedo a farmi fare questo tipo di coccole da un'amica, ma penso che ingaggerò tutti voi amici. Caste coccole consolatorie, perché la pelle, quando si rischia di perderla, non si senta sola.

Un abbraccio

Adriana

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